sabato 15 settembre 2012

Le rivolte arabe, il boom demografico e le parabole

 



 
Arrivano in continuazione gli echi delle rivolte e delle violenze di questi giorni nei paesi arabi; le seguiamo distrattamente, non ci riguardano. Ma subito la matematica ci contraddice: nel punto piu' stretto, l'Italia e la Tunisa distano 145 km, arduo pensarle lontane; sono piu' vicine di certe mete delle nostre scampagnate domenicali.
Ci bombardano di immagini forti, sangue, navi da guerra in movimento; ci dicono che un film considerato offensivo per Maometto sia la causa scatenante. All'interno di queste dinamiche, forze islamiche e arrivisti di ogni sorta cercano di inserirsi, di cavalcare la ribellione per aggredire il vuoto di potere venutosi a creare, mentre tutti i paesi cercano di allargare la propria sfera d'influenza. Ma non e' questo l'aspetto che mi interessa; mi interessano le persone che protestano.
E' una ribellione che viene da lontano, e affonda le sue radici nel boom delle nascite; stiamo parlando di una popolazione di cui il 75% ha meno di trent'anni. Come risulta chiaro dai dati gran arte dei paesi arabi ha vissuto negli ultimi vent’anni un discreto movimento di urbanizzazione (tra tutti spicca sicuramente la Giordania – la cui popolazione urbana è passata dal
57 al 78% del totale, l’Algeria – dal 40 al 58% – e il Marocco, dal 37 al 56%). E forse è ancor più significativo il dato anagrafico: quasi in modo speculare ai paesi occidentali, la popolazione dei paesi arabi è prevalentemente giovane (in tutta l’area, dal 30 al 40% della popolazione ha meno di quindici anni), mentre la popolazione ultra-sessantacinquenne rappresenta una minima percentuale (dal 3 al 5%).
E, al contrario di quanto si possa pensare, sono istruiti. La media di spesa per l'istruzione e' dappertutto superiore al 10% del pil; piu' che in Italia. La scintilla della rivolta in Tunisia arriva da un venditore ambulante, Mohammed Bouaziz, a cui hanno appena revocato la licenza di vendita della sua povera merce su di un carretto: era laureato. Si' da fuoco, e diventa il simbolo di una sofferenza divenuta insopportabile. Si e' venuta a creare una larghissima base di giovani, acculturati, disoccupati, nel bel mezzo di una crisi economica, con un elemento di grandissima novita' rispetto al passato dei loro padri: la comunicazione.
La voglia di cambiamento tra le masse arabe arriva con le televisioni satellitari e la scelta di molti regimi di toglierne la censura. Per tutti gli anni Novanta fu un braccio di ferro perdente tra le polizie e cittadini, che compravano le antenne sul mercato nero, ed erano pronti a rischiare il carcere pur di vedere i canali televisivi internazionali, e non solo quelli vetusti e ripetitivi controllati e censurati dai poteri locali. Alla fine arrivò la liberalizzazione.
Ha portato la democrazia? Assolutamente no.
Resta una libertà virtuale, non tangibile. Ma per la prima volta ora le popolazioni hanno l’idea concreta di come si possa vivere in modo diverso, anche se il sogno dei piu' non e' cambiare la costituzione o partecipare alle elezioni; le motivazioni vengono piuttosto da una forte spinta edonistica individuale; cercano la leggerezza dei consumi, la possibilità di scegliere. E scegliere tutto: dai vestiti, ai media, al lavoro, gli svaghi, le letture, il luogo di residenza. Le pulsioni di rivolta collettiva prendono forma dal perfetto inferno creato per loro: come ci si puo' sentire avendo cultura, giovinezza, la possibilita' di conoscere il resto del mondo tramite internet e satelliti, e una realta' circostante fatte di miseria che non lascia prospettiva alcuna? Poco importa se la rabbia si indirizzi poi verso il fondalismo islamico che rifiuta questi valori: e' solo un mezzo. Questo contesto, spingerebbe chiunque a cercare delle alternative; voi che fareste?


 




 

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