Arrivano
in continuazione gli echi delle rivolte e delle violenze di questi
giorni nei paesi arabi; le seguiamo distrattamente, non ci
riguardano. Ma subito la matematica ci contraddice: nel punto piu'
stretto, l'Italia e la Tunisa distano 145 km, arduo pensarle lontane;
sono piu' vicine di certe mete delle nostre scampagnate domenicali.
Ci
bombardano di immagini forti, sangue, navi da guerra in movimento; ci
dicono che un film considerato offensivo per Maometto sia la causa
scatenante. All'interno di queste dinamiche, forze islamiche e
arrivisti di ogni sorta cercano di inserirsi, di cavalcare la
ribellione per aggredire il vuoto di potere venutosi a creare, mentre
tutti i paesi cercano di allargare la propria sfera d'influenza. Ma
non e' questo l'aspetto che mi interessa; mi interessano le persone
che protestano.
E'
una ribellione che viene da lontano, e affonda le sue radici nel boom
delle nascite; stiamo parlando di una popolazione di cui il 75% ha
meno di trent'anni. Come risulta chiaro dai dati
gran
arte dei paesi arabi ha vissuto negli ultimi vent’anni un discreto
movimento di urbanizzazione (tra tutti spicca sicuramente la
Giordania – la cui popolazione urbana è passata dal
57
al 78% del totale, l’Algeria – dal 40 al 58% – e il Marocco,
dal 37 al 56%). E forse è ancor più significativo il dato
anagrafico: quasi in modo speculare ai paesi occidentali, la
popolazione dei paesi arabi è prevalentemente giovane (in tutta
l’area, dal 30 al 40% della popolazione ha meno di quindici anni),
mentre la popolazione ultra-sessantacinquenne rappresenta una minima
percentuale (dal 3 al 5%).
E,
al contrario di quanto si possa pensare, sono istruiti. La media di
spesa per l'istruzione e' dappertutto superiore al 10% del pil; piu'
che in Italia. La scintilla della rivolta in Tunisia arriva da un
venditore ambulante, Mohammed Bouaziz, a cui hanno appena revocato la
licenza di vendita della sua povera merce su di un carretto: era
laureato. Si' da fuoco, e diventa il simbolo di una sofferenza
divenuta insopportabile. Si e' venuta a creare una larghissima base
di giovani, acculturati, disoccupati, nel bel mezzo di una crisi
economica, con un elemento di grandissima novita' rispetto al passato
dei loro padri: la comunicazione.
La
voglia di cambiamento tra le masse arabe arriva con le televisioni
satellitari e la scelta di molti regimi di toglierne la censura. Per
tutti gli anni Novanta fu un braccio di ferro perdente tra le polizie
e cittadini, che compravano le antenne sul mercato nero, ed erano
pronti a rischiare il carcere pur di vedere i canali televisivi
internazionali, e non solo quelli vetusti e ripetitivi controllati e
censurati dai poteri locali. Alla fine arrivò la liberalizzazione.
Ha
portato la democrazia? Assolutamente no.
Resta
una libertà virtuale, non tangibile. Ma per la prima volta ora le
popolazioni hanno l’idea concreta di come si possa vivere in modo
diverso, anche se il sogno dei piu' non e' cambiare la costituzione o
partecipare alle elezioni; le motivazioni vengono piuttosto da una
forte spinta edonistica individuale; cercano la leggerezza dei
consumi, la possibilità di scegliere. E scegliere tutto: dai
vestiti, ai media, al lavoro, gli svaghi, le letture, il luogo di
residenza. Le pulsioni di rivolta collettiva prendono forma dal
perfetto inferno creato per loro: come ci si puo' sentire avendo
cultura, giovinezza, la possibilita' di conoscere il resto del mondo
tramite internet e satelliti, e una realta' circostante fatte di
miseria che non lascia prospettiva alcuna? Poco importa se la rabbia
si indirizzi poi verso il fondalismo islamico che rifiuta questi
valori: e' solo un mezzo. Questo contesto, spingerebbe chiunque a
cercare delle alternative; voi che fareste?
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